Quasi 800 anni fa San Francesco scriveva il cantico delle creature: lo scriveva in punto di morte, al culmine e in piena magnificenza della sua essenzialità e privazione di salute e beni materiali. Forse per primo aveva intuito il legame tra la povertà materiale (anni prima in piazza ad Assisi), la povertà relazionale (il bacio al lebbroso, qualche anno prima ancora) e la necessaria custodia della natura e della semplicità. Ecco l’immagine che sento di ricordare mentre le Nazioni Unite ci dicono di ricordare, oggi, la Giornata Internazionale contro la povertà.
I poveri della nostra città e del nostro quartiere sono ancora là dove li lasciamo ogni 17 ottobre. Non si muovono di una sola virgola, come se vivessero una dimensione diversa, che non ricade in nessun schema a noi conosciuto. Dimensioni che non si toccano né si appartengono, quella della povertà e quella del Mondo. Il ricordo di questo 17 ottobre 2019 sembra addirittura mostrare un filo che unisce, in modo inevitabile, due sfere che apparentemente non si toccano: la povertà – come l’abbiamo sempre concepita – con le questioni del momento (i problemi ambientali, le lotte politiche, i diritti sociali, le migrazioni, la perdita del lavoro). In questo legame inevitabile la povertà e il tentativo di andarle incontro si mostrano più complessi perché ne mutano forme, dimensioni, approcci.
Vedo sempre che alcuni (pochi) continuano a produrre ricchezza e sento sempre per tanti “esclusione”.
Così si prospetta il futuro delle nuove generazioni: una nuova povertà che va oltre quella materiale e relazionale: la povertà di sostenibilità. Umana, sociale, lavorativa e ambientale.
Questa è la povertà 3.0 che attende le prossime generazioni: la privazione di ogni tipo di sostenibilità. Ecco che allora penso per loro ad un baluardo di umanità e sostenibilità, di essenza ed essenzialità che possiamo costruire solo insieme.
Tutti insieme.