Due anni fa in un pomeriggio invernale, pochi giorni prima di Natale con Angela, frate Francesco e qualche altro amico sulla via di Aleppo abbiamo attraversato Beirut. Era il modo più semplice per raggiungere la comunità di Aleppo in Siria: arrivare a Beirut, da lì proseguire. Appena si esce dall’aeroporto di Beirut, simile a tanti altri sparsi in tutto il mondo occidentale, subito si percepisce di essere in un luogo unico.
Le strade di Beirut
Se si pensa all’organizzazione come elemento insostituibile perché un sistema complesso possa funzionare, se si è convinti che seguire un modello possa essere funzionale, da subito a Beirut ci si rende conto che ci sono altri punti di vista. Le strade di Beirut da molto tempo, forse da sempre, abituate a sopravvivere in tempi difficili immergono e accompagnano in un itinerario non paragonabile a ciò che si trova in qualsiasi altra città a nord del mediterraneo. Auto ovunque, strade intasate, sensi obbligatori facoltativi, cartelloni pubblicitari immensi a coprire cicatrici memoria di battaglie non troppo lontane, grattacieli, ma soprattutto tanto, tutto in rumoroso movimento.
I segni del passato
Ci sono i segni di un passato, del nuovo che trasforma e tanti segnali incompiuti di qualcosa che sta prendendo forma al di sopra di quello che resta. Ma su tutto una città, un popolo che non si ferma. Un unico grande flusso di gente che si muove, si mescola e conduce oltre. In quei giorni, unico passaggio verso la Siria in guerra per noi, per tanti approdo nella fuga da situazioni che offrono strade di futuro impossibili. Terra dove violenze di tanti tipi continuano a lasciare segni, terra capace di far spazio a gente che arriva da ogni dove senza troppo pesare o far pesare chi arriva.
Beirut crocevia di popoli
Sarà per questo che la violenza dell’esplosione dei giorni scorsi lascia un cratere che diventa, ancora di più, enorme se mai c’è ne fosse bisogno. Gente, tanta gente, ancora una volta, coinvolta. Da qui tutto sembra così lontano, così diverso, ma quanta fatica a pensarlo. Quale combinazione ha fatto sì che io nascessi da un’altra parte tanto da pensare che alla fine, più di tanto, non è affar mio. Ma Beirut, crocevia di popoli, fantasioso cantiere di umanità in questi giorni, grida ancora più forte e ci chiede che è tempo di scegliere e amare processi che ci aiutino ad immaginare e desiderare tutto ciò che ci fa comunità che cammina insieme con chi vuole fare “amici dei nemici, bene del male”.